Un altro albero molto particolare, almeno nel mio ricordo, si trova a via Caracciolo, all’altezza della Rotonda Diaz.
Me lo fece notare un’amica, ormai sono diversi anni. Ci girammo un po’ intorno, poi mi invitò a sedermici sotto.
Salii il gradino della base che formano le radici tutto intorno al tronco, cercando di dare il fastidio minimo. L’aria fresca, immobile, calmano il respiro e il tempo.
È anche questo un Ficus magnolioides, come quello che sta davanti all’ingresso della Biblioteca Nazionale e che andammo a trovare la volta scorsa.
(Dicono che il Buddha si sia illuminato stando seduto, una notte di tempesta, sotto un albero molto simile, dello stesso genere, che chiamiamo Ficus religiosa).
Da allora sono tornato ogni tanto a trovarlo. L’ultima volta da qualche giorno.
È stato un po’ potato nei suoi rami sottili e nelle radici aeree che fa scendere dall’alto per scaricare il peso accumulato crescendo. Rami tagliati stanno ancora a terra, da settimane, non raccolti.
Uno spago lo stringe.
Un tappo di plastica e una bottiglia di birra si rifugiano sulle sue radici, ne prendono la calma dopo la baldoria di qualche sera un po’ confusa.
Qualche lacrima di resina forse la piange, mentre ci osserva con il suo occhio paziente di elefante. Gli fa compagnia, lì vicino, il treno colorato dei bambini con i colori squillanti.
© 2021 Francesco Paolo Busco (riproduzione riservata)