A Donato non ho mai fatto un’intervista.
Sarebbe stato possibile, credo poco utile, tende a non seguire una linea già scritta. Domande e risposte gli artisti spesso non le danno tutte insieme, bisogna andarsele a cercare una al giorno in come si muovono.
La prima volta che lo incontrai, mentre la sua compagna Rosi (di lei vi avevo raccontato nelle righe che trovate qui) parlava dei suoi quadri, si teneva in disparte. Alcuni con le loro opere cercano di mettersi al centro, lui se ne stava a cucinare i fusilli al piano di sopra.
Abita con Rosi vicino alle gole del fiume Calore.
In questa grande casa al piano inferiore trovate mille cose: colori, tele, una vecchia sedia a sdraio messa vicino al camino, un grande cavalletto da pittore con sopra un quadro dipinto su un sacco di iuta, la luce che entra dappertutto.
È nato a Roscigno nuova, da una famiglia di notabili del paese. Ogni tanto mi racconta della biblioteca di un suo vecchio parente prete con i libri del ‘700. Alcuni li tiene ancora, molti li ha venduti: nessuna linea già scritta. E poi servono i soldi.
A Roscigno vecchia, che sta a poche centinaia di metri dal paese nuovo, qualche volta mi ha portato a vedere.
Mentre eravamo in quelle stradine fatte di terra (senza asfalto, ogni tanto affiora la vecchia pavimentazione di pietre) a un certo punto si avvicina ad una porta che sembrava chiusa.
Gli intonaci colorati, le travi dei solai rimaste sole, un forno a legna al primo piano, le finestre, le scale. Stamattina qui c’è la luce e il silenzio delle chiese.
Il paese vecchio è stato abbandonato a causa delle frane a partire da inizio ‘900, spinto giù anche da incentivi economici. Ma lui si ricorda di tanta gente che da Roscigno nuovo negli anni ’70 ancora veniva ad animare queste strade: ci si dava appuntamento vicino alla fontana o davanti alla chiesa, oppure al bar, che stanno tutti nella piazza principale, l’agorà; e degli ultimi tre abitanti.
Dorina, che era una ex suora, sua mamma zia Grazia e Luigi.
In Cilento gli anziani li chiamano tutti zio, la familiarità è diffusa.
Erano solo in tre ma preferivano abitare ognuno in una casa.
Quella di Dorina era di fronte alla fontana ma spesso cambiava, aveva a disposizione un intero paese. La mattina usciva col cane e andava a fare il giardino, piantare melanzane, peperoni, nel pomeriggio la vedevi rientrare.
Quando zia Grazia e Luigi sono morti, Dorina è rimasta l’ultima abitante. A volte la sera, dalla fontana, vedevo la luce fioca dalla sua finestra e si sentiva come un canto, la voce delle sue preghiere.
L’ultima volta mi ha fatto vedere un portale tenuto in piedi da pali di legno: Qui abitava mia nonna. Non l’avevo mai visto prima mettersi in posa per una foto.
Quando scendevo per queste strade con lei le tenevo la mano stretta, non gliela lasciavo mai, avevo sei o sette anni, ero timidissimo, gli uomini mi facevano paura.
Siamo fuori alla mostra che ha allestito in uno degli edifici che il Comune ha recuperato, la casa di Luigi, a dieci metri da quella di sua nonna.
Mentre mi racconta passa un gregge di pecore e capre.
Non si può mai dire che un paese è morto; la vita scorre sempre, cambia forma.
Passano tra la grande chiesa chiusa e la fontana che regala ancora la sua acqua a tutti. È l’anima centrale, a cerchio, luminosa, il genius loci.
Sul suo bordo di pietra ci si può sedere, stare a guardare quello che succede intorno, senza dire.
Passa una vecchia cinquecento. Una macchina che non fanno più da secoli e molto più nuova del paese.
Due turisti con l’accento del settentrione entrano a vedere la mostra; un’altra mattina che eravamo qui erano passati dei ragazzi in bicicletta in escursione.
Un paio d’anni fa è venuta anche una televisione giapponese a vedere queste case. Qualcosa ci affascina nei luoghi lasciati soli, si iniziano a sentire storie dove prima c’era troppo rumore.
Prima disegno il profilo, poi bagno il cartone, poi con molta cura bisogna ritagliare lo strato superiore. Ce vole nu sacco de tiempo.
Sono i quadri su cartone da imballaggio che sta sperimentando. Quelle righe ripetute che compaiono sotto sembrano la trama comune, la struttura atomica, la vibrazione unica di tutti.
Donato è anche un appassionato dell’archeologia di queste zone. Ogni volta che il panorama si apre molto mi racconta dei percorsi che facevano per spostarsi qui i popoli antichi: in quella valle, viri? passavano di là per andare più sopra.
Nella grotta di Bernardo, un eremita che intorno all’anno mille abitava sulle sponde del Calore in una casa di pietre e roccia, ha trovato sui muri dei graffiti: un uomo con in spalla un bastone, e lo ha fatto ricomparire nei suoi quadri.
Ha uno sguardo insolito, lo affascinano i libri di matematica e fisica ma conserva il lato illogico, per questo credo riesca a vedere oltre.
Dentro al palazzo nobiliare di Felitto ha trovato un bell’affresco dietro una mano di vernice.
Mentre lo aiuto a spostare un suo dipinto grande mi appare per caso soltanto con gli occhi il cappello e le mani.
Ma la foto che lo ritrae meglio secondo me è quella sulla vecchia sedia con alcuni quadri sullo sfondo e le mele annurche in primo piano. Ha le mani incrostate di terra e di colori.
Oppure quella subito fuori alla porta finestra che dà sui campi, e sul forno a legna, con in mano un bicchiere di vino mentre stiamo mangiando la pizza che ha impastato Rosi. Come se stessimo, senza dire niente, ringraziando per la bellezza sacra del cibo e di tutto il panorama che ci avvolge.
Potreste anche trovarlo che cerca asparagi per le campagne qui intorno. Una volta l’ho visto arrampicato su un albero di ulivo che potava rami.
Voi magari chiedetegli se mentre sta lì sopra potete andare dentro la casa a vedere i suoi quadri. Poi se inciampate in dei fogli con stampate delle poesie, le ha scritte lui.
Testo e foto Francesco Paolo Busco