7 maggio 2019
Lungo questo viaggio sui luoghi del geniale matematico raccontati in questi mesi volevamo parlare con qualcuno che Renato Caccioppoli lo avesse conosciuto davvero, lo avesse incontrato di persona, ci avesse parlato, probabilmente soprattutto ascoltato. Allora stamattina abbiamo appuntamento al Dipartimento di Matematica ed Applicazioni “Renato Caccioppoli “, a Monte Sant’Angelo, Università Federico II, con Salvatore Rionero, professore emerito di Fisica Matematica.
Entro in questo edificio moderno grigio e giallo, con i pavimenti lucidissimi verde di linoleum. Arrivo con molto anticipo e aspetto. Alle 10.59, non riesco ad aspettare quell’altro minuto, sono alla porta e busso.
Buongiorno professore.
Buongiorno, prego. Prima di cominciare le devo far leggere questo.
E mi porge un libricino dentro il quale, tra altri interventi in un convegno di alcuni anni fa sul professor Caccioppoli, c’è il suo. Racconta alcune cose, e del suo esame di Analisi Algebrica (oggi si chiama Analisi I) alla facoltà di Matematica di questa stessa università che si trovava all’epoca a via Mezzocannone.
Si capitava, ad anni alterni, con lui o con il professor Miranda: quell’anno agli studenti di Analisi Algebrica toccava lui, il professore mito, severissimo agli esami.
Durante gli esami di Caccioppoli non volava una mosca, c’era un’atmosfera tesissima. Lui si accendeva una sigaretta, magari andava avanti e indietro lungo la lavagna, ogni tanto si sollevava i capelli sulla fronte con la mano. Oppure stava seduto a fianco alla cattedra, ci poggiava la testa pensando, poi dopo un po’ la alzava per vedere a che punto fosse dell’esercizio il candidato di turno.
Lo studente Rionero che, è la prima precisazione che ha tenuto a farmi, non ha seguito il suo corso ma che stamattina mi dice ancora: “il suo libro lo conoscevo quasi meglio di lui”, viene chiamato dopo alcuni candidati che erano stati bocciati al primo esercizio: il calcolo della derivata di una funzione.
La domanda non cambiava, stava lì alla lavagna fino a che qualcuno quella derivata non riusciva, senza errori, a farla.
(Per chiarirvi la cosa: mi hanno raccontato – se chiedete agli studenti di quell’epoca, anzi ormai quasi ai loro figli soltanto, molti a Napoli hanno aneddoti su quel momento – di uno studente che mentre era seduto aspettando il suo turno sapeva perfettamente svolgere l’esercizio che vedeva scritto lì davanti, poi una volta alla lavagna, per l’emozione che dava quel professore, si era scordato tutto).
Eseguo il calcolo passo per passo, per non sbagliare, mentre sento che il professor Caccioppoli inizia a dare qualche segno di impazienza. Completo l’esercizio senza errori, però quando mi giro vedo che la sua espressione non è delle migliori.
Seconda domanda: dimostrazione di un teorema (il teorema di Weierstrass, il ricordo è talmente vivo che secondo me se gli chiediamo le parole esatte, una per una, che avevano detto lui e il professore, ci scrive un testo perfetto).
Questa volta lo studente Rionero parla spedito, con sicurezza, veloce. E l’espressione di Caccioppoli inizia a cambiare.
Poi gli consente addirittura di parlare di argomenti al di fuori del programma.
Alla fine della sua esposizione il nostro candidato si gira per la terza volta e trova Caccioppoli sorridente, con gli occhi illuminati, che gli porge il libretto con sopra scritto “30 e lode”.
Copio esattamente da quel libricino la sua frase che mi ha appena ripetuto quasi uguale: “Quella stretta di mano e l’applauso scoppiato nell’aula mi hanno indicato la strada che potevo percorrere e costituiscono uno dei più bei ricordi della mia vita”.
Questo era uno degli esami di Caccioppoli.
Poi mi racconta il suo secondo esame sostenuto con quello stesso professore, Analisi Infinitesimale (oggi sarebbe Analisi II), con la stessa precisione nel ricordo.
Insomma credo che lei abbia capito da quello che le sto raccontando che Caccioppoli agli esami bisognava sfidarlo.
E mi viene in mente che quel professore, nipote di Bakunin, una delle cose che più amava nella vita, e cercava di coltivare in sé e negli altri, era la libertà e l’onestà intellettuale. Ecco perché forse a sfidarlo, se uno non barava, non si veniva mai giudicati male.
Magari trattava i candidati con freddezza ma solo sulle cose formali, poi quando intravedeva che qualcuno aveva davvero qualcosa da dire non saliva in cattedra e usava la sua posizione ma anzi era felice di parlare quasi da pari a pari.
Forse è questo anche il motivo per il quale, quando quel primo esercizio non si riusciva a svolgere con la dovuta sicurezza, in un tempo opportuno, senza errori, e ci si trovava, girandosi, il professore di fronte con in mano già il proprio libretto, in silenzio, lo si prendeva e si andava via senza replicare.
Continua a raccontare il professore.
Il peggio era quando, durante la seduta, arrivava qualche assistente o libero docente ad ascoltare. Deve sapere infatti che agli esami e alle lezioni venivano ad assistere non solo gli allievi ma anche professori. In quelle occasioni il professor Caccioppoli iniziava un poco più a scherzare.
Una volta, questo l’ho ascoltato proprio io di persona, un po’ demoralizzato dall’esito dei primi esami, disse al suo assistente don Savino Coronato: “Don Savì, e questi sono quelli che dovrebbero insegnare ai nostri figli? Meno male che noi figli non ne teniamo; vero don Savì?”
Se vi ricordate che don Savino era un prete non vi sfugge la battuta un poco imbarazzante.
Ma il motivo per cui le aule in cui il professore Caccioppoli teneva esami o lezione erano sempre gremite non era certamente per le battute, le faccio un esempio: mettiamo che io sia un professore molto accurato e che tenga una lezione in cui spiego perfettamente, passaggio per passaggio, senza saltare nulla, un certo argomento; molto probabilmente dopo un paio d’ore la mia platea si sarà annoiata. Invece il professor Caccioppoli aveva un dono: lui sapeva andare al nocciolo dell’argomento, sapeva far vedere oltre i passaggi e le formule, ecco perché riusciva a tenere la platea sospesa, interessata, attenta, e perché lo andavano ad ascoltare anche persone che non erano studenti.
Va bene, per non farvi rimanere troppo col fiato sospeso, vi dico che a quel secondo esame Rionero pure prese trenta.
Poi continua coi ricordi. Sta cercando di farci capire ancora, di disegnare più chiaramente che può quella figura sottile, di spiegarci qualcosa di non semplice da afferrare.
Vede, se lei mi incontra per strada, cosa pensa? Che sono una persona normale, come gli altri. Bene, io sono Accademico dei Lincei come era lui, ho più pubblicazioni di quante non ne avesse fatte lui -con questo, attenzione, non voglio assolutamente dire che le mie pubblicazioni sono migliori delle sue, intendiamoci- però se lei incontrava Caccioppoli si rendeva istantaneamente conto di avere davanti una persona al di sopra del normale, un genio.
Dopo un poco il professor Rionero sente che mi ha raccontato abbastanza di suo, senza che gli facessi domande; credo che Caccioppoli faccia questo effetto in molti: ha mosso molto in profondo le persone e allora tutti ne parlano con grande piacere, con urgenza a tratti. E mi chiede di iniziare a fargli le domande che avevo in mente.
Guardo sul mio quaderno e leggo una domanda che non si dovrebbe fare, non come prima almeno. Però se l’ho scritta per prima pure questo avrà un motivo, allora gliela faccio.
Professore adesso comincio da questo, lo so che è al contrario, dalla fine, ma è la prima cosa che mi è affiorata nel pensiero. Lei che cosa si ricorda dei funerali del professore?
Vedo il viso del professore che si ferma.
Si ferma il respiro per qualche momento.
Ho sbagliato domanda.
Mi dispiace.
Mi ha già risposto. Sono passati sessant’anni da quel giorno di maggio e questo signore stamattina si commuove.
Poi si attacca a qualche parola per tirare fuori la voce.
Non so se lei si ricorda, dentro palazzo Cellamare, dove abitava Caccioppoli, dopo il cancello, c’è un viale. Quel giorno era tutto pieno di persone, c’erano professori da tutta Italia.
Lungo quel viale, in un angolo, quella mattina ho visto, tra i tanti altri, due dei più importanti matematici italiani asciugarsi le lacrime.
È stata una cosa terribile, che ha rivoluzionato tutto il mondo matematico di allora.
Un altro ricordo è di qualche giorno prima: stavo all’angolo di via Chiaia con piazza Trieste e Trento, davanti a quel bar famosissimo, come si chiama… il Gambrinus, sì, ecco.
Stavo lì ad aspettare la mia fidanzata e vedo arrivare, scendendo da via Chiaia, il professore.
Camminava a fatica, non era uno spettacolo bellissimo. Qualche tempo prima, cadendo, si era rotto un braccio, non stava più tanto bene in salute. Allora mi avvicinai con molta deferenza e gli chiesi: “Professore come sta?”
Mi diede la mano e mi disse: “Rionero, come vuole che io stia?”.
Dopo due o tre giorni avemmo la tristissima notizia. È l’ultimo ricordo che ho di lui.
Siamo andati a cercare sulle pagine del giornale che frequentava di persona, quasi tutte le sere, nella redazione di Napoli. Ecco, se volete, il racconto di quel giorno: “L’Unità” 10 maggio 1959.
Sei studenti vollero portarlo da palazzo Cellamare, per via Chiaia, fino a piazza Vittoria. Togliatti inviò un telegramma.
I libri personali di Caccioppoli
Ha aggiunto parecchi tasselli il professor Rionero alla nostra ricostruzione, lo ringraziamo molto e andiamo a vedere un luogo dove un altro pezzetto di Caccioppoli pure rimane.
Si trova proprio qui sotto, al piano terra, dove c’è la Biblioteca “Carlo Miranda”. In un armadio di ferro con la porta a vetri. Dentro ci sono i libri che usava personalmente Renato Caccioppoli.
Molti hanno copertine rivestite in tela, con il titolo a lettere dorate. Apriamo uno dei libri di Analisi scritti da lui per i corsi. Una prima edizione ha i caratteri in corsivo, tutti.
Ci sono libri di autori stranieri, in francese e in tedesco. Ce lo aveva raccontato poco fa il professor Rionero, i rapporti con il mondo anglofono erano limitatissimi: si ricordi che ai tempi del fascismo l’Inghilterra era “la perfida Albione”.
C’è un libro del suo maestro, Mauro Picone, che si intitola: “Calcolo”.
Tocchiamo tutto il meno possibile. Qualcun altro li ha aperti; meglio non invadere troppo quei suoi gesti.
Professor Carlo Sbordone
Dopo tanti luoghi cercati in questo viaggio a puntate, oggi continuiamo alla ricerca più dei racconti delle persone e andiamo a parlare con un altro matematico napoletano che non ha conosciuto direttamente Caccioppoli, perché troppo giovane, però ne è un cultore, il professor Carlo Sbordone.
Lo andiamo a trovare nella sede dell’Accademia Pontaniana, a via Mezzocannone; c’eravamo stati, in questa nostra ricerca, il primo giorno. È stato per sei anni presidente di quest’Accademia che fu diretta, prima donna, dalla zia del professor Caccioppoli, Maria Bakunin.
Ci inizia a raccontare delle origini del dipartimento. Si ricorda a memoria l’anno di nascita e pure di iscrizione all’università di parecchi professori suoi docenti. Sembra uno storico dei matematici.
Il professor Picone riuscì a costituire una scuola di bravissimi matematici e molto precoci: Caccioppoli del 1904, il più anziano, Gianfranco Cimmino del 1908, Giuseppe Scorza Dragoni del 1908 pure lui, mentre parla scrive questi numeri su un foglio di carta, e poi Carlo Miranda che era del 1912, tutti precocissimi: il professore Miranda si iscrisse all’università a soli 15 anni, il professor Cimmino pure si laureò prestissimo.
Il professore Picone oltre a essere un matematico molto produttivo era anche molto concreto. Riuscì a farsi dare nel 1927 dal Banco di Napoli la somma di cinquantamila lire (all’epoca era una cifra considerevole) per impiantare a Napoli, credo proprio in questo palazzo, il centro di calcolo elettronico, si chiamava “Istituto per le applicazioni del calcolo”. Poi nel ’27-’28 se lo portò a Roma, con gran parte dei suoi assistenti, questa fu una sfortuna per noi.
Uno dei pochi che rimasero a Napoli fu proprio Caccioppoli.
Siamo seduti dentro una saletta dell’Accademia, si chiama sala Benedetto Croce. al posto dove adesso vedete fotografato il professore probabilmente sedeva proprio Croce, forse dove sto seduto io in questo momento s’è seduto Caccioppoli qualche volta convocato da lui.
Forse gli aveva detto quello che adesso ci racconta il professore.
Il professore Caccioppoli nel dopoguerra entrò a far parte di un gruppo ristretto, dieci persone, dei più assidui sostenitori della rinascita di quest’Accademia.
Deve sapere che Benedetto Croce aveva deciso di nominare sua zia Maria Bakunin presidente dell’Accademia. Allora il nipote, che per sua natura non era uno che si occupasse di cose troppo pratiche, lo sappiamo tutti, era un grande teorico, per ricambiare aveva accettato di entrare in quel piccolo gruppo.
Il professor Sbordone insegna Analisi Matematica, la stessa materia che insegnava Caccioppoli, e allora gli chiediamo se ha in qualche modo ricevuto influenza dagli studi nei campi aperti da lui.
Vede, Caccioppoli ha avuto la fortuna di nascere in un tempo in cui ci si poteva occupare di diversi campi della Matematica ad un livello avanzato. Oggi siamo ad un livello talmente specializzato che sarebbe impossibile affrontarne più di due. Lui ne ha affrontati, con questo intendo dire che ha dato risultati di valore, in almeno 7 o 8 ed è stato comunque ai suoi tempi una grande eccezione.
Lui dava dei risultati molto importanti, però talvolta erano difficili da capire anche per i giovani assistenti. Allora c’era il professor Miranda che traduceva. Caccioppoli esponeva la teoria, Miranda capiva, oppure a volte tornava da Caccioppoli e diceva: “Renà ch’è scritt ccà?”, per farsi spiegare meglio.
Due degli argomenti di cui si è occupato portano ancora il suo nome: le “Disuguaglianze di Caccioppoli” e gli “Insiemi di Caccioppoli”.
Gli “Insiemi di Caccioppoli” sono insiemi il cui bordo è così irregolare, che le funzioni che lo descrivono sono difficilmente gestibili da un punto di vista matematico, però sono molto importanti. Hanno avuto un ruolo notevole nella ricostruzione per esempio delle immagini. Per fare i film a colori si è dovuti intervenire su queste strutture che sono gli “Insiemi di Caccioppoli”.
Io invece ho lavorato sulle “Disuguaglianze di Caccioppoli” che riguardano il problema della continuità delle soluzioni di problemi con dati discontinui.
Il professor Sbordone è stato referente scientifico del film “Morte di un matematico napoletano“, di Mario Martone, anzi mi dice oggi che sta personalmente anche in una piccola scena.
Ad un certo punto nel film ci dovevano essere due Caccioppoli, erano due Carlo, Carlo Cecchi e Carlo io. Uno alla lavagna, di spalle, scrive delle formule, e quello sono io, mentre l’altro fa un gesto di rifiuto con la mano come per dire: “Basta, queste cose non mi interessano più”.
L’ultima domanda che gli pongo è su come trovare il luogo dove riposa Renato Caccioppoli. Sapevo che era uno di quelli che lo sanno.
Mi ha fatto proprio un disegno su un foglio di carta.
Entra, segue la strada, una prima curva, una seconda e qui, ecco, in questo punto trova una piccola cappella di famiglia.
In alto c’è scritto “Caccioppoli”.
Poi uscendo mi dice: Sa, oggi abbiamo una delle lezioni per i ragazzi dei licei per allenarli alle “Olimpiadi di Matematica” delle scuole superiori. Sono curioso e andiamo insieme a vedere quell’aula magna dove, vi ricordate? eravamo già stati insieme nella primissima puntata di questo viaggio. Quel giorno avevo fotografato una sala vuota, l’unica presenza umana era il ritratto di Maria Bakunin. Adesso dentro quei banchi ci sono almeno cinquanta studenti liceali. Alla lavagna c’è un professore giovane, forse un assistente, che sta spiegando con una bella calma, a una platea che ascolta tranquillamente. Oltre tutti questi bei discorsi che facciamo, la tradizione scientifica, questo anche è un bel segno, anche dentro queste sale, sta continuando.
L’ultimo luogo
Andiamo a cercare il luogo ultimo, su questo pianeta, del professore.
Ritrovo il foglio con quel disegno, me lo riguardo e parto.
Quando arrivo lassù mi accorgo che non mi ero fatto spiegare abbastanza in dettaglio quale fosse l’ingresso preciso, perché come saprete qui sopra di cimiteri ce ne stanno almeno quattro.
Poi, dopo un po’ di ricerche, trovo l’ufficio giusto. Al computer trovano rapidamente il posto esatto.
Cimitero di Santa Maria del Pianto, curva zona quattro.
È un bel cancello, all’ombra di alberi, dentro un piccolissimo slargo.
La strada scende, come gli altri. Dopo pochissimi metri un cartello di ferro: Totò, Enrico Caruso.
A un bivio c’è una piccola bottega dei marmi, l’indicazione si ripete, per Totò girare a destra. Siamo qui, a questo punto andiamo a vedere.
Una cappella come le altre intorno. Solo ci sono un po’ più fiori della media. Guardo dentro dalla porta chiusa. Ci sono le foto che conosciamo tutti. È proprio lui. A destra della porta c’è scritta nel marmo tutta “la Livella”.
Siamo scesi troppo lungo la collina, è meglio se risalgo.
Eccola finalmente: Caccioppoli scritto in alto. Guardo dentro cercando di dare il minimo disturbo. Cerco due volte tra i nomi che leggo ma non sono quelli che ricordo. C’è la bottega di prima, vedo se lo sanno.
Sta lì vedete, e indica una seconda cappella con Caccioppoli scritto che sta a sei metri.
Mentre mi avvicino vedo che la porta è aperta. Esce un ragazzo che stava pulendo, chiedo di entrare un momento.
Leggo “Renato Caccioppoli” in alto a sinistra, e poi solo due date.
Resto soltanto a guardare.
Di fronte c’è la madre, il padre.
La prima fotografia mi viene mossa.
Il signore dei marmi si avvicina, la cosa diventa più delicata visto che era aperto. Mi chiede chi siamo. Poi è talmente gentile che telefona agli eredi e ci danno anche il permesso di pubblicare le foto che vi stiamo mostrando.
Forse il professore ha un poco in simpatia questo nostro viaggio. Prima ci ha preso un po’ in giro, come suo solito. Ci ha fatto andare avanti e indietro, ncoppo e sotto, alla fine però si è fatto trovare, e ha lasciato, proprio in quel momento, quella porta aperta.
Forse voleva che vedessimo prima il Principe della risata, e solo alla fine il matematico comunista “anarchico”.
Una cosa dell’intervista al professor Rionero e al professor Sbordone però non ve l’ho ancora detta.
Alla fine avevo chiesto a entrambi, in giorni diversi, in due posti tra di loro lontani, un’ultima cosa.
Professore secondo lei che cosa aveva Caccioppoli di diverso dagli altri?
Mi hanno risposto con le quasi identiche parole: Sa, lui vedeva cose che noi non vedevamo, che non saremmo riusciti a vedere senza di lui, questa è la verità.
Poi, forse, quel venerdì 8 maggio 1959, quello che riusciva così bene a vedere era stato troppo grande da sopportare anche per lui.
Questo articolo lo pubblichiamo il giorno prima di quell’anniversario. Vi vogliamo dare il tempo di pensarci.
Poi magari c’è un matematico bravissimo che in ventiquattr’ore mette insieme tutta la teoria, costruisce una macchina del tempo, e riesce a cambiare la sorte.
(Fine ultima parte, se volete ricominciare dalla prima parte il link è questo).
Testo e foto di Francesco Paolo Busco (tutti i diritti riservati)